Quando acquistiamo un indumento o apriamo l’armadio e decidiamo come vestirci facciamo scelte e gesti che hanno delle conseguenze sulla nostra salute e sull’ambiente. Difficilmente si è consapevoli di cosa ruota intorno al mercato del tessile, ma la questione non è di poco conto, viste le ultime ricerche sul tema.
L’associazione “Tessile e Salute”, nata nel 2001, come si legge sul sito ufficiale (www.tessileesalute.it) “è a fianco dei consumatori, dei produttori, degli enti e delle organizzazioni che hanno a cuore la sicurezza del prodotto tessile e calzaturiero e la tutela del Made in Italy. Opera in sinergia con il Ministero della Salute, i NAS, le ASL e le Procure della Repubblica per prevenire e combattere la diffusione sul mercato di prodotti nocivi per la salute degli utilizzatori. È in via di definizione la sua trasformazione in “Osservatorio Nazionale Tessile – Abbigliamento – Pelle – Calzature”.
Proprio per supportarne gli obiettivi strettamente legati alla struttura della pelle, dei suoi annessi e all’ambito cosmetico (basto pensare all’avvento sempre più importante del “cosmetotessile”), AIDECO ha deciso di collaborare con questo gruppo specializzato, con sede a Biella, storica città manifatturiera del tessile e della lana sin dal XIII secolo.
“Tessile e Salute” tra il 2011 ed il 2012 si è occupata di effettuare indagini a livello nazionale su articoli tessili acquistati in punti vendita o prelevati dai NAS e dalle Asl, nel corso di azioni ispettive o a seguito a segnalazione di varie problematiche inerenti la salute.I risultati delle indagini sono stati piuttosto significativi, per non dire sconcertanti…
Dai rilevamenti condotti a livello nazionale emerge che riguardo alla composizione fibrosa dei capi:
- Il 15% risulta sprovvisto di etichetta di composizione
- Il 34% dei capi etichettati riporta una composizione sbagliata
In particolare è emersa poi la presenza di sostanze pericolose in articoli tessili acquistati nei punti vendita nelle seguenti percentuali:
- 4% ammine aromatiche cancerogene
- 4% coloranti allergenici
- 6% metalli pesanti
- 4% formaldeide
Secondo i dati raccolti è dunque ancora troppo frequente la presenza sul mercato di sostanze pericolose per la salute umana in articoli tessili e calzaturieri.
Secondo “Tessile e Salute” le più frequenti patologie dermatologiche legate a reazioni avverse alle sostanze contenute nei capi di abbigliamento (studio effettuato su oltre 400 pazienti) sono riconducibili a:
- Tessuti – nel 69,1 % dei casi
- Accessori – nel 16,5 % dei casi
- Calzature – nel 14,4 % dei casi
(Fonte: www.tessileesalute.it/tutela-del-consumatore/rischi-per-la-salute/ )
Ma qual è il quadro normativo che regola questo ambito?
Il mercato tessile non è esente da leggi e regolamenti internazionali e nazionali. In particolare, in merito ai rischi per la salute del consumatore, il mercato tessile globale è attualmente regolamentato su tre livelli:
LIVELLO 1 – LEGISLAZIONI
Numerosi sono i Paesi che si sono dotati di leggi inerenti i prodotti tessili, sia per la natura globale della produzione sia per il significativo numero di prodotti chimici in essa utilizzati. Sebbene le legislazioni non coprano del tutto dai rischi di un’importazione di articoli tessili non a norma e vada pertanto integrata e migliorata, allo stato attuale si possono elencare quelle più importanti:
- Europa – Regolamento REACH
- USA – Consumer Product Safety Improvement Act (CPSIA)
- USA – California Proposition 658
- Giappone – Law for the Control of Household Products Containing Harmful substances
- Cina – Product Quality Law of the People’s Republic of China
LIVELLO 2 – NORMATIVO
Tantissime riguardano i prodotti tessili (requisiti fisici, solidità ecc.). Solo una norma UNI prende in esame in modo sistematico la sicurezza dei prodotti tessili ed è la UNI/TR 11359 Safety management of textiles,clothing, footwear, leather and accessories pubblicata nel 2010 e realizzata con il coordinamento di “Tessile e Salute”.
LIVELLO 3 – CAPITOLATI PRIVATI
Standard numerosissimi che si basano su RestrictedSubstancesLists – RSL. Ma tra queste c’è una grande varietà, sia dal punto di vista di sostanze chimiche elencate e requisiti richiesti, sia come impegni da sostenere per la supplychain. I produttori che vogliano vendere all’azienda che richiede la conformità ad una RSL sono tenuti ad informarsi a loro volta presso i loro fornitori al fine di essere sicuri di rispettare quanto richiesto in materia di sostanze soggette a restrizione.
Inoltre, come nel campo dei prodotti biologici destinati all’alimentazione ed alla cosmetica, esistono organismi di certificazione ai quali le aziende produttrici possono aderire volontariamente per migliorare la loro efficienza ambientale e per emergere come aziende virtuose dal punto di vista della tutela della salute dei consumatori. Si tratta in particolare delle seguenti organizzazioni:
- EMAS (Eco-Management and Audit Scheme), sistema comunitario di ecogestione, cui possono aderire volontariamente le imprese europee che desiderano impegnarsi nel valutare e migliorare la propria efficienza ambientale.
- ECOLABEL, il marchio europeo di qualità ecologica che premia prodotti e servizi migliori dal punto di vista ambientale.
E se sul capo non si trova il marchio Ecolabel? È opportuno scegliere almeno prodotti realizzati in Italia e in Europa perché il loro impatto ambientale è più controllato e regolato.
Una parola in più sulle“fibre biologiche”. Come abbiamo avuto modo di osservare a proposito dei prodotti cosmetici “bio” (www.aideco.org/biologico-e-naturale), anche in presenza di un tessuto “bio” occorre particolare cautela: il prodotto dovrebbe essere realizzato con fibre naturali ottenute senza sostanze di sintesi come insetticidi, diserbanti e concimi. Coltivare, ad esempio, cotone senza utilizzare sostanze chimiche è in realtà molto difficile, riduce la resa dei campi e quindi anche la redditività degli agricoltori. Tant’è che le percentuali di “fibre bio” nel mercato ammontano ad appena l’1% e difficilmente potranno aumentare.
Spesso purtroppo la dicitura “bio” o “organico” sull’etichetta non corrisponde a verità o è riferita ad una percentuale marginale di fibra. Frequentemente può succedere che sia “bio” il cotone, ma non la lavorazione effettuata, non essendo ancora state definite chiare procedure di controllo, come avviene già nel settore alimentare. In altre parole si tratta spesso di mera comunicazione pubblicitaria. In breve:
- Non è detto che il cotone sia veramente “biologico, perché esistono leggi che regolano l’agricoltura biologica ma non l’intera filiera di produzione.
- Un capo realizzato in fibre “bio” non ha caratteristiche migliori o peggiori di un altro non bio: il suo vero pregio risiede nel non aver provocato inquinamento ambientale nelle aree di coltivazione.
Dal punto di vista dermatologico le conseguenze di un contatto prolungato con tessuti trattati con sostanze irritanti o nocive per la salute, risiedono non solo nelle manifestazioni cutanee, quali DIC e DAC (Dermatiti Irritative o Allergiche da Contatto) spesso di non facile diagnosi.
Il pericolo vero sta nel fatto che la pelle è il nostro organo più esteso e, per quanto sia banale ribadirlo, è il più esposto alle aggressioni esterne, fungendo da barriera semi-permeabile e quindi da “ingresso” di tante sostanze nel nostro organismo.
I danni a lungo termine prodotti da sostanze nocive introdotte per assorbimento cutaneo possono essere di conseguenza anche molto gravi. Ecco perché è sempre importante essere consumatori consapevoli.
I principali rischi per la salute del consumatore a contatto con tessuti e calzature sono imputabili alle sostanze chimiche utilizzate nei processi produttivi e finalizzate alla lavorazione, alla colorazione e alla funzionalizzazione dei materiali.
Va qui considerato che è impossibile immaginare l’industria tessile e della moda senza il contributo dei processi chimici; non si tratta quindi di demonizzare sostanze e composti ma di conoscerli, valutarne gli effetti ed utilizzarli secondo prassi rigorosamente controllate.
Nel corso degli ultimi decenni la ricerca scientifica ed industriale ha dedicato molta attenzione alla messa a punto di prodotti chimici sicuri per i lavoratori e per gli utilizzatori finali dei manufatti e sono state stabilite procedure e regolamenti d’utilizzo.
In Europa inoltre è stato vietato l’uso di sostanze ritenute pericolose per la salute ed i prodotti chimici messi sul mercato sono oggetto di costanti verifiche e monitoraggio.
D’altro canto è altresì utile sfatare i numerosi luoghi comuni che rischiano di diffondere false informazioni fra i consumatori.
Ad esempio:
- “I capi sintetici provocano allergie e dermatiti?”
Non ci sono fibre pericolose (a parte l’amianto, fuori legge da molti anni). Patologie e problemi di sensibilizzazione cutanea sono provocati dall’uso di sostanze chimiche non a norma nelle fasi di tintura e finissaggio.
- “Le fibre naturali sono più ecologiche di quelle sintetiche?”
Per coltivare il cotone si utilizzano estese aree sottratte così ad altre coltivazioni, si usa moltissima acqua e il ciclo di lavorazione sfrutta molta energia, utilizza coloranti e sostanze chimiche, con processi lunghi e costosi. Ci sono poi i consumi di lavaggio e di stiratura… Le fibre sintetiche, d’altra parte, utilizzano solo una minima parte di petrolio e la loro produzione è a basso consumo di acqua. Hanno però un grosso limite ecologico: non sono biodegradabili, per questo le aziende stanno incentivando la ricerca sul riciclo dei materiali scartati.
- “Il cotone OGM fa male alla pelle?”
Il cotone OGM (organismo geneticamente modificato), a contatto con la pelle è, allo stato attuale delle nostre conoscenze, del tutto identico ad un cotone tradizionale. Oggi il 50% del cotone con cui sono fabbricati i nostri indumenti è un OGM.
Come ormai chiaro, alla sicurezza del prodotto si è aggiunto recentemente un nuovo importante obiettivo: la definizione di sostanze, materiali, tecnologie e modalità di lavoro meno impattanti sull’ambiente.
L’acquisto consapevole anche nel caso dell’abbigliamento può fare molto per migliorare non solo la tutela della salute dei consumatori, ma anche le condizioni di lavoro degli operai del settore nei paesi in via di sviluppo, nonché indurre le aziende produttrici ad una maggiore sensibilità su quanto si potrebbe fare per ridurre i danni all’ambiente e migliorare la qualità dei prodotti.
Ai consumatori si consiglia pertanto:
- Di non acquistare capi di abbigliamento privi di etichetta con composizione che deve obbligatoriamente dichiarare per legge la tipologia di fibre presenti nel capo
- Di lavare sempre un nuovo capo di abbigliamento prima di indossarlo e, nel caso di rilascio di colorante, lavarlo una seconda volta
- Infine, laddove possibile, di scegliere aziende certificate che operano nel rispetto delle normative europee
Una corretta informazione tutela sempre la nostra salute e quella del pianeta in cui viviamo.